Santiago-Bergamo. Lettere dal Cile 1962-1963-1964 di Cortesi Franco - Bookdealer | I tuoi librai a domicilio
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Santiago-Bergamo. Lettere dal Cile 1962-1963-1964

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Mi chiedo, a quasi sessant'anni di distanza, per quali motivi ho accettato la proposta di andare in Cile nell'autunno del 1962, un'esperienza che avrebbe potuto cambiare la mia vita ma che io ho voluto provare come una parentesi, pur rivelatasi bella e preziosa. La proposta mi arrivò in estate con una telefonata di Pippo Pandolfi a nome di Giovanni Battista Scaglia, parlamentare bergamasco, vicesegretario di Aldo Moro alla Segreteria nazionale della Democrazia Cristiana. In Italia erano gli anni del Centrosinistra e del miracolo economico, gli anni del pontificato di Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) e del Concilio, della Guerra Fredda e del Terzo Mondo, della rivoluzione cubana che sembrava l'unica alternativa ai governi liberali e conservatori o ai regimi militari dell'America Latina. Infine, l'era del presidente John Fitzgerald Kennedy e della sua "Alianza para el Progreso". Avevo ventisette anni, una laurea in Giurisprudenza, lavoravo con mio fratello Dimitri nell'agenzia di assicurazione lasciataci da nostro padre Dante, morto nel 1956, ed ero da poco fidanzato con Anna Bianconi, diciottenne, cui le lettere sono destinate. Ero anche stato esonerato dal servizio militare e ciò mi lasciava lo spazio necessario per svolgere un eventuale servizio civile. Avevo militato da studente nel movimento giovanile DC e ora facevo parte della Direzione Provinciale della Democrazia Cristiana bergamasca (30.000 iscritti, Scaglia e Pandolfi non stavano in maggioranza) e, se ne avessi avuto l'ambizione, avrei potuto anche candidarmi alle elezioni politiche dell'anno successivo, nel 1963. Nonostante tutto questo (o forse proprio per questo?) ho detto sì all'idea di lasciare Bergamo, le mie occupazioni e i miei impegni e ho accettato la proposta di andare in Cile (formalmente come inviato del quotidiano «Il Popolo») per collaborare con il Partito Democratico Cristiano cileno e con il suo leader, il senatore Eduardo Frei Montalva, in vista delle elezioni presidenziali del 1964. Nell'intervista che nel 2009 mi ha fatto il professor Raffaele Nocera, dell'Università di Napoli, nell'ambito del saggio dal titolo Dove non osò la diplomazia, è spiegato il contesto politico generale in cui si inseriva la mia trasferta cilena. Da parte mia contarono l'interesse e la passione politica (dare una mano ai DC dell'America Latina) e la curiosità di conoscere Paesi nuovi e nuove relazioni umane e politiche e di affrontare una prova da solo in condizioni diverse, un'esperienza allora insolita che mi avrebbe portato oltre alle certezze e alle opportunità già acquisite nella mia terra. Oggi, a posteriori, riconosco che fu anche un atto di coraggio, nel senso politico del termine di cui parla Hannah Arendt. Non mi sentivo un'eccezione. Tanti giovani della mia generazione attivi nelle associazioni, partiti, sindacati, enti locali, movimenti per la pace, nel vuoto politico creato da vent'anni di dittatura, senza modelli di riferimento, si sono trovati a dover gestire la cosa pubblica in prima persona. Lo richiedeva la nascita della Repubblica e la Costituzione. Senza retorica o presunzioni giovanilistiche, con serietà e fatica. Ecco perché sono finito in un Paese del Terzo Mondo come il Cile («el último rincón del mundo»), che allora era una terra di cui non conoscevo né lingua, né storia, né costumi. Ho trovato un Paese moderno e civile più di quanto avessi immaginato, che ho imparato a conoscere e amare. F.C.

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